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DOGVILLE

regia: Lars Von Trier
Nicole Kidman, Harriet Andersson, Lauren Bacall, Jean-Marc Barr, Paul Bettany, Ben Gazzara, Stellan Skarsgard, James Caan (135')
anno: 2003


Il DOGVILLE che vedremo nelle nostre sale non è propriamente il vincitore dello scorso festival di Cannes. Infatti le copie del film, su richiesta della casa di distribuzione Medusa, sono state decurtate dallo stesso regista di circa 30'.
Malgrado ciò la pellicola resta estremamente interessante; probabilmente per i suoi evidenti richiami metaforici, resi espliciti da un'ambientazione astratta-teatrale. Scarne le scenografie, pochi gli oggetti di scena, i personaggi si muovono in uno spazio suddiviso da linee stilizzate tracciate al suolo - una sorta di enorme lavagna nera - a delimitare la pianta di strade ed edifici invisibili, resi concreti solo dal sonoro e dalle frequenti inquadrature plongée.
Nella vicenda della giovane Grace (il nome non è casuale), prima accolta dagli abitanti della piccola cittadina di Dogville (la città del cane, con una lettura che si espliciterà nel finale), poi sfruttata, umiliata ed infine tradita e consegnata ai "carnefici", risuona un chiaro parallelo evangelico, con una conclusione che però priverebbe l'umanità di ogni misericordia.
Lo sfondo storico della profonda provincia americana durante la grande depressione, inoltre, rende il racconto leggibile anche dal punto di vista politico come un'accusa ad un'America perbenista ed ipocrita, autosufficiente e isolata dal resto del mondo, percorso di senso quest'ultimo richiamato dalle bellissime e terribili foto che scorrono durante i titoli di coda. Ma è la chiave biblica associata al senso del perdono e della giustizia, quella che appare più stimolante, in una visione plumbea di un dio "solo potere" in contrasto con una natura umana debole ed infame. In ciò risalta provocatoriamente l'arroganza di un dio-figlio(/a) che tutto/troppo perdona, in quella visione "nordica" della sfera religiosa cui il regista danese ci ha abituato.
Molto attinente la recitazione della Kidman, a tratti quasi straniata, in linea con i toni irreali del racconto. La struttura del cinema (ad ostacoli) di Von Trier resta tutta, anche se la teatralita delle scene obbliga a scelte "antidogmatiche" (si veda l'illuminazione fortemente innaturale e le musiche extradiegetiche), grazie al montaggio fortemente frammentato laddove ci si attende continuità e viceversa.
La nostra valutazione oscilla tra i tre e i quattro pallini.

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