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THE WEATHER MAN

regia: Gore Verbinski
Nicolas Cage, Michael Caine, Hope Davis (102')
anno: 2005


Gore Verbinski è uno di quei registi virtuosi a cui piace di volta in volta cambiare registro narrativo. Dopo l’horror nipponico “The Ring”, il fantasy caraibico “La maledizione della prima luna”, il “catastrofico” per ragazzi “Un topolino sotto sfratto”, torna alla commedia per adulti (registro già adottato e stravolto in “The Mexican”) tentando la strada dell’insubordinazione alle regole del genere. Il motore del film è il sentimento di rivalsa del goffo Dave Spritz (Nicolas Cage, “Il ladro di orchidee”), meteorologo di una rete televisiva locale che si barcamena nello spazio filmico nel tentativo di rendere orgoglioso suo padre Robert (Michael Caine, “Le regole della casa del sidro”), padre perfetto e noto scrittore di successo al quale è stato diagnosticato un cancro; di aiutare i suoi due figli alle prese coi problemi della pubertà e dell’adolescenza; di riprendersi sua moglie che l’ha lasciato e sta per convolare a seconde nozze. Fallisce però miseramente ogni volta cmq intestardendosi nell’obiettivo di riformare una famiglia andata in pezzi. Un po’ “American Beauty”, ma con la coscienza di “American Beauty”, il film è una denuncia al sistema americano del Sogno e della Famiglia, e al di là di questo è un film dalla forte componente esistenzialistica sul posto degli adulti nella società - su come gli uomini, da ragazzi, si credevano qualcuno, e su come quei ragazzi, da adulti, sanno di essere qualcosa d’altro. Lo scemare dell’individualismo egocentrico come propulsore delle azioni e dei pensieri personali e la presa di coscienza di un sistema economico e sociale più grottesco di ogni nostra più drammatica aspettativa (da qui lo sport dell’Arco, al quale Dave si inizia nel corso della storia, come metafora della necessità di focalizzare gli obiettivi e mirare dritto al cuore delle cose e l’allegoria del Tempo, il mestiere di Dave, come caos e scommessa, imprevedibilità degli eventi e, non da ultimo, la rappresentazione in chiave ciclica delle stagioni dell’essere) è il fulcro principale di un film a tratti anche insincero nella messinscena – si avverte lo sforzo di voler essere originali, il tentativo non sempre riuscito di rottura dei clichè – ma sincero nelle intenzioni e con un messaggio non consolatorio, non del tutto banale, e che spinge lo spettatore a mettersi in gioco riconoscendosi alla stregua di Dave a tratti sornione e a tratti folle, a tratti dolce e molto spesso in preda a quei laboriosi resoconti personali che avvengono nell’intimità del nostro non sempre confortevole io.


Nicolas Cage, già visto in un ruolo introspettivo di questo tipo ne “Il ladro di orchidee”, ne riprende in parte tic ed espressioni, ma qui con una maggiore libertà di gigioneggiare; se questo sforzo di Gore Verbinski e dello sceneggiatore-e-produttore Steve Conrad di essere fuori dagli schemi fosse partito dal momento di scritturare un attore per la parte del protagonista, forse il film ne avrebbe giovato non rientrando così a pieno diritto nella schiera di pellicole che offrono ad un attore la possibilità di “rifare” un ruolo già interpretato, con il conseguente rischio che l’abbia fatto meglio.  

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