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Il regista Moroni a CANTIERE CINEMA 2005

LUNEDI'17 ottobre alle 21,15 al CINEMA DORICO di ANCONA - nell'ambito della rassegna CANTIERE CINEMA - il regista VITTORIO MORONI presenterà la sua pellicola TU DEVI ESSERE IL LUPO.

La mattina successiva, MARTEDI' 18 ottobre alle 9, si terrà una proiezione per le scuole (Liceo "Galilei" e Pedagogico "Rinaldini") con successivo incontro con l'autore.

L'iniziativa è realizzata in collaborazione con Agiscuola e associazione Nie Wiem.

Il film è un esempio di quel cinema italiano di qualità che rischia di essere totalmente oscurato dai meccanismi della grande distribuzione. Singolare la vicenda che ha consentito a TU DEVI ESSERE IL LUPO di uscire nelle sale: regista, produttore con amici e parenti si sono autotassati e, ridotte all'osso le spese per copie e promozione, hanno contattato alcuni cinema di poche città... Il resto l'ha fatto il passa parola con il consenso degli spettatori.

cliccare qui sotto per alcune recensioni sul film e un'intervista con Vittorio Moroni



TU DEVI ESSERE IL LUPO

Nazione: Italia - Anno: 2004 - Genere: Drammatico - Durata: 95'
Regia: Vittorio Moroni
Cast: Ignazio Oliva, Valentina Merizzi, Valentina Carnelutti, Sara D’Amario, Gianluca Gobbi, Vera Gondola


Recensione di Margherita Sanjust di Teulada da www.cinema4stelle.it

Nel delicato film diretto da Vittorio Moroni, tutto ruota intorno al rapporto viscerale e morboso tra il “ragazzo padre” Carlo (Ignazio Oliva) e la figlia adolescente Vale (la brava esordiente Valentina Merizzi). Nessuno è capace di scalfire il granitico guscio che i due protagonisti si sono creati, isolandosi da tutti gli altri affetti: né Giò (Vera Gondola), l’unica amica di Vale, né Elena (Sara D’Amario), la compagna di Carlo. Giò tenta inutilmente di coinvolgere Vale in amicizie e uscite con altri coetanei, di farla vivere al di fuori del microcosmo esclusivo nel quale l’amica tende a rinchiudersi. Elena è costretta a vedere il fidanzato destreggiandosi fra mille sotterfugi, mal sopportando la dimensione di clandestinità che è lo stesso Carlo a imporle, timoroso di ferire la suscettibilità della figlia. E’ la mancanza della madre, che Vale crede morta dopo il parto a far sì che l’uno cerchi conforto nell’altro, pur di compensare una ferita che il tempo non ha rimarginato. All’interno di questo tormentato menage irrompe improvvisamente Valentina (Valentina Carnelutti), misteriosa donna che arriva da Lisbona, dove vive da tempo e fa la marionettista. Valentina è in realtà la madre di Vale, sparita anni prima abbandonando la figlia. Forse si può accontentare di guardarla da lontano, forse invece brucia dal desiderio di riprendersi una parte di vita che ha perso rinunciando a essere madre. Ma l’amore un tempo rifiutato, l’amore mai donato, non può più rinascere. Valentina non potrà più vantare diritti sulla carne della propria carne: più forte del legame di sangue è destinato a rimanere il rapporto di Vale con il giovane uomo che l’ha voluta, accudita, amata. Valentina potrebbe essere il lupo a cui allude il titolo: l’estraneo che rischia di turbare il fragile universo creato da Carlo per Vale. Il lupo, al di là della coincidenza con un dato personaggio, è comunque il simbolo classico e ancestrale della paura e dell’ignoto. Eppure potrebbe anche significare qualcosa di oscuro ma inaspettatamente positivo, se si ha il coraggio di affrontarlo: un ostacolo che diventa un gradino fondamentale per crescere, arricchendo la conoscenza e la percezione del mondo. La bellissima immagine finale della marionetta - lupo, che prende per mano una farfalla e la conduce a vedere cosa si nasconde oltre al limitare del bosco, potrebbe infatti suggerire un’identificazione del lupo con Elena, l’amante che scardina l’equilibrio (precario) del rapporto padre-figlia, ma in grado anche di aiutare entrambi ad accettare e soprattutto desiderare l’esistenza di altri mondi, di altri amori, di altri vincoli. Il film è permeato da un’aura di profonda tristezza, ogni personaggio patisce un senso di inadeguatezza e di sofferenza. Ma l’occhio del regista filtra tutto attraverso sfumature morbide, regalando allo spettatore una visione in cui l’amarezza è velata e addolcita da una grande poesia, stemperando la tragedia con tocco lieve e misurato.


Quel lupo non è poi così cattivo...
recensione di Roberta Folatti da www.cineboom.it

Ogni personaggio del film di Vittorio Moroni deve affrontare il suo “lupo”, qualcosa di doloroso e irrisolto, un nodo ancora aggrovigliato, o semplicemente un passaggio, un cambiamento in un percorso di crescita. Come le marionette timorose delle prime scene, che si ritraggono spaventate dalla foresta abitata dal lupo, Carlo, Vale e Valentina tentano di mantenersi in equilibrio esorcizzando il cambiamento, ma non si può tenere a lungo rinchiusi i propri fantasmi.
E’ Valentina soprattutto che da Lisbona, dove è fuggita anni prima, sente il bisogno di tornare sui luoghi del suo passato, incontrando l’uomo che sta crescendo sua figlia. Una figlia che lei non è stata capace di amare ma il cui ricordo la strazia.
Tu devi essere il lupo è un film delicato, quasi sussurrato, che si focalizza sul rapporto tra un padre e una figlia adolescente, convinta che sua madre sia morta quando lei era ancora piccolissima. Un legame strettissimo, ricco di sfumature, che a tratti diventa esclusivo e rischia di tagliare fuori il resto del mondo. Carlo ha una storia con una donna bella e comprensiva, ma per paura di urtare la suscettibilità della figlia, la vede di nascosto, imponendole precauzioni ingiustificate. Vale rinuncia spesso ad uscire con le coetanee per trascorrere il tempo con suo padre, attendendolo dopo il lavoro con la cena pronta e riservandogli premure da moglie. Di frequente la ragazza accompagna il padre nei suoi spostamenti di taxista, il taxi è una sorta di sua seconda casa, lo tappezza di ninnoli colorati e foto, ci ripassa le lezioni scolastiche, ascolta musica mentre Carlo guida.
Vittorio Moroni riesce, con tocchi sapienti e con rigoroso pudore, a rendere l’intimità del rapporto tra padre e figlia, compresi gli aspetti problematici, le piccole gelosie di lei, le apprensioni e il senso di inadeguatezza di lui nel suo tentativo di supplire all’assenza della madre. Ma è bravo anche nel descrivere la giocosità della loro intesa, i gesti complici, gli sguardi che rendono superflue le parole, e il vizio-passione per la fotografia, che li avvicina all’umanità variegata che si serve del taxi.
Ma quando la mamma di Vale, che ha il suo stesso nome, si materializza tornando improvvisamente da Lisbona, diventa chiaro che, anche se quel ritorno non manderà in frantumi il delicato equilibrio tra padre e figlia, qualcosa comunque cambierà.
Tutti e tre attraverseranno un momento di travaglio, anche la giovane Vale, pur tenuta all’oscuro, avvertirà qualcosa di stridente, sentirà il padre di colpo lontano e mediterà una fuga. Per un attimo lo scorrere del film e delle loro vite si blocca, tutto dipenderà dalla decisione della donna, venuta da Lisbona non si sa se per rientrare nella vita della figlia o soltanto per riconciliarsi coi propri fantasmi. I turbamenti, le riflessioni, le scelte difficili dei protagonisti di Tu devi essere il lupo sono cullati, circondati, accolti all’interno dei suggestivi paesaggi valtellinesi, quasi che la natura e quei luoghi avessero una parte importante nel dipanarsi della storia e favorissero le prese di coscienza. Questa dimensione emozionale e la presenza forte della terra natia del regista sono forse la cifra stilistica del film, l’aspetto più originale.
Pur essendo un lavoro interessante, il primo lungometraggio di Moroni ha rischiato di non essere visto, perchè gli addetti ai lavori in Italia giudicano poco conveniente assumersi l’onere di distribuire film di registi giovani e non conosciuti. Per fortuna, replicando il caso di Fame chimica, i partecipanti al progetto hanno unito le loro forze e, autofinanziandosi, sono riusciti a trovare un varco nella distribuzione ufficiale.
Ma il calvario a cui sono costretti i giovani autori, che invece di coltivare il proprio talento devono pensare a problemi logistici ed economici, non finisce per incrementare i falsi miti alla Costantino, arrivati al successo (successo?) per vie tutt’altro che artistiche e con una facilità a dir poco imbarazzante?



INTERVISTA:
INCONTRO CON VITTORIO MORONI
di Roberta Folatti
Da www.cineboom.it

Lo incontro mentre sta accompagnando, amorevolmente, su e giù per l’Italia il suo film Tu devi essere il lupo, che dopo un lungo purgatorio distributivo, ha trovato finalmente la via delle sale, anche quelle di provincia. Ma il merito va ascritto a Moroni stesso e ai suoi collaboratori, non a qualche distributore lungimirante, e il successo del film dimostra quanto gli addetti ai lavori nel nostro paese siano spesso scarsamente competenti.
Cominciamo dall’inizio...

COME NASCE L’IDEA DI FARE CINEMA IN UNA CITTADINA DI PROVINCIA COME SONDRIO?
E’ nata più tardi, quando già facevo l’Università a Milano, studiando filosofia, estetica e storia e critica del cinema. Prima scrivevo racconti ed ero appassionato di fotografia. Fino a diciannove anni ho guardato molti film in videocassetta o in tivù, anche perchè l’offerta cinematografica a Sondrio non era molto variegata.

IL TUO PERCORSO COM’È PROSEGUITO?
Ho deciso di iscrivermi alla Scuola di cinema di Milano, passando attraverso una selezione potente, prima per entrare e poi da un anno all’altro. Una vera trafila di selezioni, andavano avanti pochissime persone. Dopo il diploma ho cominciato con i corti, ma i miei erano corti a vocazione lunga, considerati sempre come palestra in vista del lungometraggio. Il mio corto Eccesso di zelo è stato premiato al Festival di Nanni Moretti e in altri Festival europei.
In seguito mi sono messo alla prova con un corto completamente privo di dialoghi, La terra vista da Marte, un muto di 33 minuti.
Successivamente ho realizzato parecchi documentari, è una modalità di ricerca che mi interessa molto. Documentario come indagine, anche sulle sceneggiature, sulle tracce del fatto. Un mio soggetto per un documentario, sulla schiavitù contemporanea in Amazzonia, ha vinto il premio Solinas. Attualmente sto lavorando a un documentario narrativo, la storia di un ragazzo bengalese, che vive a Roma da quattro anni, ed è molto inserito, molto occidentalizzato. Ma a un certo punto ha deciso di sposarsi, e lo ha fatto seguendo la tradizione: sua madre gli ha trovato una donna bengalese e il matrimonio si è celebrato là: io c’ero e l’ho filmato. I documentari hanno la bellezza dell’utilizzazione della camera come una penna, è molto diverso dal fare un film, anche con piccolo budget.

QUESTO GENERE STA VIVENDO UN MOMENTO FELICE...
Il documentario in Italia continua a vivere una gravissima crisi. La Rai sta tagliando tutti gli spazi, restano solo i documentari sugli animali e quelli tipo Geo&Geo. In effetti in sala si è aperta una piccola finestra su questo genere, ma si tratta prevalentemente di pamphlet, sullo stile tracciato da Micheal Moore. Io preferisco i documentari di osservazione e di indagine, mi viene in mente il francese Essere e Avere.

CHE ALTRI FILM E REGISTI AMI?
Amo alcuni registi che fanno un cinema molto diverso da quello che faccio io e che è nelle mie corde. Godard, Angelopulos, Cassavetes, Kiarostami. E altri con cui sento maggior vicinanza di stile: Kieslowsky, i fratelli Dardenne, Atom Egoyan. Tra gli italiani Garrone, Sorrentino, Crialese, che fanno un cinema all’altezza dei loro colleghi internazionali.
Comunque finisco sempre per pensare ai film più che agli autori, amo molto opere come Gruppo di famiglia in un interno di Visconti, Prima della rivoluzione di Bertolucci, La leggenda del santo bevitore di Olmi. E poi Diario di un maestro di Vittorio De Seta, un regista molto moderno, che ha insegnato molto alle generazioni successive di autori.

COME VEDI INVECE LA SCENA DEL CINEMA ITALIANO NEL SUO COMPLESSO?
E’ un mondo che scarseggia di competenze, molti produttori, distributori ed esercenti non sanno fare il loro mestiere. Le politiche culturali sono veramente scarse. Il pubblico è molto più attento ed aperto, a volte anche più competente, delle persone che decidono cosa proporre. Esercenti e distributori ragionano per meccanismi molto puerili, il mio film è stato giudicato debole, perchè mancavano scene di sesso, di violenza. La reazione del pubblico, quando finalmente siamo riusciti a mostrarglielo, è stata ben diversa.
In Italia c’è una fetta di pubblico molto generoso, che discute, che scrive, che propone riflessioni, che si mette dalla parte del film e lo aiuta a farsi conoscere. Il passaparola col mio film, come con quello di altri registi giovani, ha funzionato molto bene. Ma resta una quota di spettatori a cui le cose non arrivano, gli addetti ai lavori li disabituano alla qualità.

TU DEVI ESSERE IL LUPO HA AVUTO UN PERCORSO UN PO’ TRAVAGLIATO.
Sono passati sette anni da quando è cominciato il lavoro sulla sceneggiatura. Ho avuto i fondi ministeriali grazie all’Articolo 8, ma il budget era basso, poco più di due miliardi, che sono pochissimi soprattutto per girare in Valtellina dove non esistono maestranze specializzate, bisogna tutte portarle da fuori. Una volta girato, nel 2003, credevo che il grosso delle fatiche fosse terminato. Invece il film è stato un anno e mezzo fermo, senza distruibutore, con la sensazione che non fosse a causa di un giudizio puro sul film, ma fosse colpa di una situazione più generale.
Alla fine, abbiamo reagito. In quattro, io, Valentina Carnelutti, una delle interpreti, il cosceneggiatore e l’assistente alla regia, abbiamo iniziato a sondare il terreno per capire quanti soldi servissero per distribuirlo in maniera indipendente. Abbiamo calcolato che, stando bassissimi, servivano almeno 70-80.000 euro (lo stesso budget serve a malapena per organizzare la festa d’uscita di un film hollywoodiano!). Una volta che ci siamo fatti un’idea, abbiamo cercato dei finanziatori e in contemporanea abbiamo “fondato” la Myself, che equivale a dire soldi di tasca nostra. Dopo tutti questi sforzi, disponevamo di otto copie del film e siamo usciti inizialmente in cinque città. La stampa ha reagito da subito favorevolmente e il pubblico ci ha dato un forte incoraggiamento. Siamo stati sei settimane a Roma che non è un risultato da poco, bene anche nelle altre città, ogni volta che volevamo uscire in una città nuova dovevamo spostare le copie. In pratica ho imparato un altro lavoro! Ora tante persone ci chiedono di produrre e distribuire i loro film!

ORA PARLIAMO DI TU DEVI ESSERE IL LUPO DAL PUNTO DI VISTA ARTISTICO, COME HAI SCELTO GLI ATTORI E SOPRATTUTTO LA GIOVANE VALENTINA?
L’attore che interpreta Carlo, il padre, l’avevo in mente sin dall’inizio, invece la scelta della madre è avvenuta tardi. Era un personaggio difficile da inventare per degli autori maschi, poi era misterioso, vago. Valentina Carnelutti è stata capace di dare un contributo alla sua definizione.
Per trovare chi interpretasse la giovane Valentina abbiamo setacciato tutte le scuole della Valtellina, vedendo almeno 800 ragazzi. La Merizzi era restia ad accettare, diceva di aver partecipato al provino solo per perdere un’ora di scuola, non le piaceva l’idea di lavorare durante le vacanze. All’inizio eravamo terrorizzati, avevamo paura che mollasse dopo poche riprese visto l’entusiamo scarso con cui partiva. Invece dal primo ciak è stata estremamente professionale, diligente, e la sua interpretazione ha ricevuto diversi premi. Penso che gli attori non professionisti debbano essere molto simili ai propri personaggi per riuscire bene.

CHE IMPORTANZA HA LA NATURA E IL TUO ESSERE VALTELLINESE NELLA IDEAZIONE DEL FILM?
Io ci tenevo moltissimo a girare in Valtellina, anche perchè conoscevo i luoghi, legati a suggestioni, a cose vissute. E poi trovavo che la natura valtellinese rendesse bene l’idea della protezione e al tempo stesso della gabbia rappresentata dal rapporto fra Valentina e suo padre. In certi momenti le cose vengono dette mostrando semplicemente il paesaggio naturale. Con Tu devi essere il lupo credevo di star facendo un film sulla provincia, sulle relazioni e la società di provincia. Invece questo aspetto è passato un po’ in secondo piano, il mio è un film su un incontro interiore.

E’ UN FILM MOLTO MATURO, AVREI GIURATO CHE FOSSE STATO GIRATO DA UNA PERSONA PIÙ GRANDE.
E’ frutto di molte ricerche e la sceneggiatura finita è stata sottoposta al parere e alle impressioni degli attori. C’è stato un lavoro di limatura dei dialoghi in base alla personalità degli attori. Valentina Carnelutti ci ha aiutato molto, è madre di due figlie femmine e quindi aveva una grande esperienza in proposito. Il mio lavoro di documentarista mi è servito per lasciare che la realtà degli attori prendesse un poco il sopravvento sulla rigidità della carta scritta.

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