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DEPARTURES

regia: Yojiro Takita
Masahiro Motoki, Tsutomu Yamazaki, Ryoko Hirosue, Kazuko Yoshiyuki, Kimiko Yo, Takashi Sasano, Toru Minegishi, Tetta Sugimoto, Yukiko Tachibana, Tatsuo Yamada (130')
anno: 2008


Dopo il passaggio al Far East Festival di Udine, e, soprattutto, dopo l'assegnazione dell'oscar, lo scorso anno, come miglior film straniero, arriva in Italia il film del giapponese Yojiro Takita, Departures, in originale Okuribito (colui che invia). Il regista viene dal cinema di genere (i fantasy horror ying yang masters 1 e 2), ma qui, cambia completamente registro, regalandoci una storia delicata, lieve e piena di humor (forse troppo). Al centro della vicenda vi è il Nokanshi, pratica che concerne la vestizione e il trucco del cadavere di fronte ai parenti del defunto.

Il soggetto principale della vicenda è Daigo Kobayashi, che in seguito allo scioglimento dell'orchestra, di cui è uno dei violoncellisti, decide di tornare con la moglie al suo paese natio per andare ad abitare nella casa in cui è cresciuto da solo con la madre, in seguito all'abbandono di entrambi del padre, e che la donna gli ha lasciato in eredità. Qui Daigo trova un impiego come assistente di un “tanato-esteta”, come viene definito dalla traduzione italiana del film, un professionista che riveste e lava i defunti per prepararli alla cremazione.

La pellicola è senza ombra di dubbio ben diretta, ed ha dei momenti sicuramente toccanti. E soprattutto, tra gli altri pregi, ha quello di inquadrare un microcosmo come quello della preparazione dei defunti e del suo rituale (laico). Tutto questo sicuramente poco frequentato dal cinema contemporaneo.

Ciò che non convince è, in diversi momenti, come viene modellata questa materia: in maniera fin troppo edulcorata, e quasi melensa, in alcuni punti, quando ad esempio vediamo Daigo suonare il violoncello nei prati con l'accompagnamento della musica( filmica) calda, gloriosa, e rassicurante atta ad indicare l'equilibrio raggiunto dal protagonista, la sua pace interiore.

Nel complesso siamo di fronte ad un opera non disprezzabile, ma che sarebbe stata piu' efficace, almeno a parere di chi scrive, se fosse stata caratterizzata da una maggiore asciuttezza sia a livello narrativo, e in questo caso anche meno meccanica nell'avanzare, che a livello formale.

 

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