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ALDA MERINI - UNA DONNA SUL PALCOSCENICO

regia: Cosimo Damiano Damato
Documentario - Alda Merini, Mariangela Melato (72')
anno: 2009


Da mymovies.it

“Una specie di invasata della poesia”, così la definiva affettuosamente ma seriamente Vanni Scheiwiller, il suo editore. Cosimo Damiano Damato ritrae Alda Merini, una donna la cui vita ha avuto spesso i connotati della tragedia, ma a cui la poesia ha sempre (più) regalato una seconda vita. La Merini, che non ha remore a dire che non sarebbe la Merini senza il dolore del manicomio e dell'abbandono di Manganelli, offre di sé tutto meno che un quadretto lirico, perennemente semidistesa sul letto, con la sigaretta accesa, più coperta che vestita, in grado però di vedere senza sosta il lato poetico di se stessa, come Venere “nata dalla schiuma, ma è solo schiuma schiumata di rabbia”. La lascia parlare, il regista, senza cancellarne le contraddizioni: il manicomio tanto disprezzato si fa sovente luogo, più o meno provocatoriamente, del sogno di pace cui la poetessa aspira, sfiancata dall'assalto dei fotografi e dei curiosi; allo stesso modo, l'appartamentino sui Navigli è oggetto di odio e amore, culla e campana di vetro.

Il titolo, Una donna sul palcoscenico, non mente: la Merini suona il pianoforte, canta vecchie canzoni di guerra, monologa, ricordando con commozione il padre, primo innamorato, morto prima -lei arriva a dire “per fortuna”- di vederla in manicomio; con profonda malinconia i figli; con freddezza un marito violento, al quale però ha dedicato le sue migliori parole d'amore.

La docu-intervista di Damato chiede a Mariangela Melato di dar voce alle poesie della Merini, ma non è un espediente sufficiente per dare una forma al lavoro, che sprofonda nell'indolenza di cui si dice vittima la protagonista, saltellando tra amor sacro e amor profano, brandelli di cultura cattolica e paganesimo, alla ricerca di una poesia del quotidiano che non buca lo schermo, perché non è il suo mestiere, perché, forse e per fortuna, la poesia resta eccezione.

Frequentando la “pazza” dei Navigli per tre anni, il regista ha ottenuto una disponibilità senza filtri da parte della donna e a questa si è affidato senza voler mettere del proprio, per timidezza o eccessiva preoccupazione, ma finendo per lasciare il poeta ancora una volta solo, sul palco, senza un sorriso d'incoraggiamento, senza una vera proposta di collaborazione. (Marianna Cappi)

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