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I MISTERI DEL GIARDINO DI COMPTON HOUSE

regia: Peter Greenaway
con Anthony Higgins, Janet Suzman, Anne Lambert, Hugh Fraser, Neil Cunningham
anno: 1982 - Gran Bretagna (108')


Inghilterra, agosto del 1694. Gentiluomini e nobildonne sono proprietari e ospiti di Compton House, avita magione degli Herbert. La ricca castellana Virginia Herbert commissiona al pittore Neville di realizzare 12 disegni in 12 giorni: saranno il regalo di bentornato per il consorte, in partenza per un breve viaggio. Il pittore, in qualità di ospite, comincia così a conoscere gli ipocriti frequentatori della casa e man mano che il lavoro procede, si avvede di particolari strani e inquietanti che prendono forma nei luoghi già disegnati, mentre Mr. Herbert non sembra ancora far ritorno alla magione. Primo lungometraggio di Greenaway girato nel 1981 e presentato alla Mostra di Venezia l'anno successivo, rivela fin da subito il talento e la genialità eccentrica del pittore-regista britannico, che avrebbero fatto di ciascuna delle sue opere successive un vero e proprio evento artistico e un giuoco d'intelligenza per un crescente pubblico di ammiratori. Interessante notare l'impianto rigoroso e le geometrie concentriche di tresche e complotti, che il disegnatore dapprima pare tenere sotto controllo, quasi giovandosene, per poi comprendere di essere egli stesso parte integrante di un meccanismo a orologeria. La raffinatezza dei ragionamenti e dei raggiri, che rimandano alle versioni di Les liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos dirette da Roger Vadim (Les liaisons dangereuses 1960 ‒ Relazioni pericolose, 1959) e da Stephen Frears (Dangerous Liaisons ‒ Le relazioni pericolose, 1988), si rinviene sin dai titoli di testa, dove scorrono le conversazioni dei nobili convitati. E se, sul versante dell'immagine, la cinepresa di Greenaway si distende sulla verde campagna del Kent con soavità e risultati cromatici così naturalistici da non far rimpiangere il Barry Lyndon (1975) di Stanley Kubrick, sul versante sonoro la musica di Michael Nyman riproduce fedelmente i canoni del tardo Seicento, con il pieno rispetto delle armonie di Henry Purcell. Numeri ossessivamente ordinati e presenti in scena, meticolosità delle inquadrature, abbinamento fra personaggi e colori, simmetria di architetture e corpi, come cifre stilistiche del regista, si combinano qui con il rimando all'iperclassicità delle forme e al minuetto dei dialoghi forbiti. Opera intrigante e dalle molteplici chiavi di lettura. Ricevette vari riconoscimenti tra cui: Premio AGIS-BNL e segnalazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani alla Mostra del Cinema di Venezia 1982; Gold Plaque al Festival di Chicago; Gran Premio al Festival di Strasburgo; Premio della critica al Festival di Bruxelles. Recensione a cura di Stefano Todini (Enciclopedia del Cinema 2004), un caro amico e collega.

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