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THE ROAD TO GUANTANAMO

regia: MICHAEL WINTERBOTTOM e MAT WITHECROSS
Farhad Harun (Ruhel); Arfan Usman (Asif); Riz Ahmed (Shafiq Rasul); Waqar Siddiqui (Monir); Shahid Iqbal (Zahid); Mark Holden (Interrogante); Jacob Gaffney (Interrogatore); William Meredith (Guardia); Adam James (Agente Segreto)
anno: 2006



Trama:


Nel 2001, il pakistano Asif Iqbal si reca dalla natia Tipton, in Inghilterra, in un villaggio nel Punjab per sposare una ragazza scelat per lui dalla madre. In occasione delle sue nozze, vuole accanto Ruhel, Shafiq e Monir, tre suoi amici che arrivano dalla cittadina inglese per fare da testimoni. I quattro ragazzi si incontrano a Karachi e si recano in una moschea dove l'Imam sta raggruppando volontari per portare aiuto ai civili in Afghanistan. I ragazzi si uniscono ai volontari e partono per Kandahar, ma al loro arrivo vengono accolti dal primo bombardamento delle forze Usa in guerra con i Talebani. Il quartetto cerca, allora, di tornare in Pakistan, ma il viaggio si rivela pieno di insidie finché i ragazzi, ormai divisi, vengono arrestati dai soldati americani. Seguono settimane di prigionia, trasferimenti da un carcere all'altro, torture, malattie fino a che Shafiq, Asif e Ruhel vengono portati nel campo americano di Guantanamo, a Cuba. I giovani inglesi sono accusati di essere legati ad Osama bin Laden e Mohammed Atta perché, secondo i servizi segreti americani, sarebbero apparsi in un video accanto a loro. Dopo due anni di prigionia nella base americana, Shafiq, Asif e Ruhel sono stati rilasciati senza nessuna imputazione a loro carico, mentre di Monir non si è più avuta nessuna notizia.

Note: ORSO D'ARGENTO PER LA MIGLIOR REGIA AL 56MO FESTIVAL DI BERLINO (2006).

Critica:


" The Road to Guatanamo è una 'via crucis' epica, però rappresentata senza il minimo accenno di retorica. L'intonazione realistica, a metà tra ricostruzione e reportage (con materiali d'archivio e interviste ai personaggi reali), mobilita la memoria dello spettatore animando le immagini, viste tante volte sui giornali e in tv, dei detenuti con la tuta arancione e la testa nascosta in un sacco nero, che corrono nudi tra i latrati dei dobermann. Scene così eloquenti che la cinepresa non ha bisogno di enfatizzarle, poiché un uso retorico della regia non farebbe che smussarne l'efficacia. Consapevole di ciò, Winterbottom lascia che le situazioni si commentano da sé: anche quando insinua note di umorismo amaro, come l'insostenibile pretesa, da parte degli inquisitori, che i ragazzi siano riconoscibili in un video accanto a Osama Bin Laden e Mohammed Atta. Le immagini - in altre parole - si possono far mentire; ed è proprio per questo che occorre mantenerle il più possibile aderenti alla realtà." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 15 febbraio 2006)

"In tv Bush parla di lotta del Bene contro il Male. Intanto loro, sistemati in gabbie all'aperto, sopportano sole cocente, torture, umiliazioni, pressioni ('Siete di Al Qaeda, i tuoi amici hanno confessato'). Gli ufficiali che li interrogano mostrano loro video nei quali apparirebbero addirittura accanto a Osama, ignorano ostinatamente i loro alibi (sono inglesi, hanno lavori, famiglie, testimoni). Fino a quando finalmente l'incubo finisce. Nulla che già non sapessimo o potessimo immaginare, ma naturalmente vedere è un'altra cosa, l'impatto è innegabile. Restano i dubbi legati al genere: un buon documentario si interroga sempre su cosa mostra e come. Winterbottom non conosce dubbi, anzi nei titoli non mette nemmeno la voce sceneggiatura. Legittimo, forse, ma un po' curioso." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 15 febbraio 2006)

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