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BABEL

regia: Alejandro González Iñárritu
Brad Pitt (Richard); Cate Blanchett (Susan); Gael García Bernal (Santiago); Kôji Yakusho (Yasujiro) Rinko Kikuchi (Chieko); Adriana Barraza (Amelia)
anno: 2006



Trama:


Nella Bibbia si racconta di un tempo quando gli uomini, per rivaleggiare con Dio, costruirono una torre altissima, la torre di Babele, cercando di raggiungere il cielo. Allora Dio li punì per la loro superbia facendo crollare la torre e facendo sì che ognuno di loro parlasse una lingua differente e sconosciuta. Gli uomini, non riuscendo più a capirsi e a comunicare tra loro, senza più una meta, si sparpagliarono per tutto il pianeta, dimenticando di essere tutti uguali.


In Marocco due bambini stanno giocando per strada con un fucile in mano; per errore parte un colpo ed il proiettile ferisce una turista americana su un autobus. La donna è in vacanza con il marito per cercare di superare il dolore per la morte del loro terzo figlio. La donna è ferita gravemente e per fermare l'emorragia, poiché si trova in pieno deserto lontana da un qualunque ospedale, viene portata in un villaggio ed affidata alle cure di un veterinario. Contemporaneamente a San Diego la tata dei suoi figli deve partire per il Messico per andare al matrimonio del figlio e, appresa la disgrazia capitata alla sua datrice di lavoro, decide di portare i bambini con sé a casa sua. Intanto a Tokyo una ragazza sordomuta, per superare il trauma del suicidio della madre, seduce ogni uomo che incontra ed ogni volta riesce soltanto a sentirsi più sola ed emarginata.



AL 59MO FESTIVAL DI CANNES (2006) PREMIO PER LA MIGLIOR REGIA A ALEJANDRO GONZALES IÑÁRRITU



Critica:


"Nell'applaudito 'Babel' il messicano Alejandro González Iñárritu dilata su scala planetaria il plot a incastri di 'Amores perros' e '21 grammi'. (...) Il segmento migliore (il meno telefonato) è quello giapponese, dove una giovane sordomuta si comporta da ninfomane per sete di comunicazione e di affetto. Il resto è pura legge di Murphy: se una cosa può andare storta lo farà. Così fra Messico, Usa, Tokio e Marocco, il ricatto dei sentimenti si intreccia a quello del dolore fisico. Mentre Cate Blanchett aspetta soccorsi in un paesino dell'Atlante, il marito Brad Pitt affronta l'egoismo e l'arroganza degli altri occidentali, ignaro che nel frattempo i figlioletti rischiano la vita sul confine messicano. Anche se la tragedia peggiore si abbatte sulla famiglia dei pastorelli, perché siamo in una parabola biblica e chi sbaglia paga. Il tutto inserito in un gioco ad incastri così insistito da farsi dimostrativo e alla lunga soffocante. Il pubblico applaude. Ma dietro la forma cronometrica e brillante traspare il fantasma del vecchio e aborrito film a tesi." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 24 maggio 2006)



"L'autore di 'Amores perros' e '21 grammi' (nonché del corto meno sgradevole dell'offensiva antologia '11-09-01') conferma di essere ossessionato dal gioco delle coincidenze e delle vicende parallele: nonostante il deprecato avvento della globalizzazione (che in ogni caso non gli interessa più di tanto), la linearità e la cronologia non appartengono al suo mondo e non riescono a mobilitare la sua energia interiore. Il titolo d'ispirazione biblica serve, così, a introdurre lo spettatore nelle anse imprevedibili e segrete di quattro episodi che si sviluppano su tre continenti e in tre lingue, inseguendo le reazioni e le emozioni di personaggi lontanissimi tra loro. (...) Il film è montato stupendamente e gli attori - da quelli da copertina come Brad Pitt e Cate Blanchett a quelli di sostanza come Gael Garcia Bernal e Adriana Barraza e a quelli sconosciuti come Koji Yakusho, Rinko Kikuchi, Said Tarchani e Boubker Ait El Caid - sono messi in grado di esprimere l'intensità pretesa da una trama così architettata. Peccato che la bravura del regista, cedendo a più riprese all'estetismo rallentato e al compiacimento del dettaglio, sia portata a lenire troppo platealmente le asprezze dell'approccio. Come già in '21 grammi', sembra che Iñárritu voglia conferire significati alti anche ai contrattempi più prosaici e occasionali del quadro drammaturgico: il quale, non a caso, finisce per vibrare soprattutto quando il diapason del pathos individuale e il controcanto di una natura crudele e indifferente bloccano ogni prospettiva spiritualistico-consolatoria e ogni commento sentenzioso." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 24 settembre 2006)



"Partiamo dalla pellicola di Alejandro González Iñárritu, quasi due ore e mezza che passano in un lampo, avvinti come si è da un racconto uno e trino. (...) E' proprio quest'ultima la carta che resta elegantemente coperta in un film alla Altman, pieno di sorprese che magari qualcuno troverà troppo ben predisposte. Innegabile tuttavia la presenza di scene stupende come la fantasmagoria antropologica delle nozze messicane o il duetto fra Cate Blanchett in pericolo di vita e un Brad Pitt al vertice della bravura. Una menzione meritano anche la badante, la monumentale Adriana Barraza, e il nipote Gael Garçia Bernal." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 24 maggio 2006)



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